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La scelta della cravatta tra impulso e attenzione ai particolari

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Oggetto dibattuto la cui storia è stata mutevole, passando da picchi di popolarità a ribellione nei suoi confronti, la cravatta è indiscutibilmente uno dei pochi accessori che è (era) concesso all’uomo assieme all’orologio.

La storia delle sue origini è ormai consolidata.  Molto distante dall’aspetto attuale, la prima cravatta altro non era che un fazzoletto legato al collo in uso nelle truppe mercenarie croate ai tempi del Re Sole; per un gioco di assonanze e pronunce passare da “Hrvati” (Croati in croato) poi “Croates” (Croati in francese) e infine al termine “Cravate” fu estremamente lineare.

L’utilizzo di questo accessorio, rivisto e rivisitato sotto la luce del Re Sole (primo utilizzatore) divenne da subito un simbolo di appartenenza ad una ben determinata classe sociale. La rivoluzione industriale e lo sviluppo del settore tessile fu di grande impatto per la diffusione tra la nuova borghesia. Nel frattempo, l’aspetto ha cominciato ad avvicinarsi a quello dei nostri giorni. 

Nel corso dei decenni sono variate misure, dimensioni e stili, ma i criteri che ne continuano a guidare l’acquisto consapevole sono sempre gli stessi. 

Spesso, infatti, l’acquisto della cravatta diventa un atto irrazionale legato all’impulso e all’emotività del momento. Solo così riesco a spiegarmi certe cravatte dai pattern, dai colori o dalla fattura quantomeno “discutibili” che giacciono inutilizzate in qualche recondito angolo del guardaroba. A parte questo, capita a tutti, girando tra i negozi, di imbattersi in pareti di cravatte dai colori vivaci dai disegni accattivanti, e talvolta è difficile resistere alla tentazione dell’acquisto. Spesso però tali scelte basate solo sull’aspetto estetico non prendono in corretta considerazione l’aspetto qualitativo del prodotto.

Lo stile della prossima cravatta dovrebbe essere “solo” la terza forza impattante sull’acquisto dopo averne valutato attentamente e il materiale e la manifattura. Per la scelta stilistica non vi sono dettagli tecnici da conoscere, ma solo buon gusto (less is more). Per le prime due invece è necessario sapere qualcosa in più.

Potremmo dire che la cravatta sia solo “della seta cucita con all’interno del tessuto”. Oggetto semplice vero, ma è nella semplicità che si nascondono le insidie e i dettagli che fanno la differenza.

Partiamo con il dire che la struttura della cravatta è composta da tre elementi più uno, la fodera, che tuttavia a seconda dei modelli può non essere presente.

Il primo elemento, nonché il più evidente è il guscio esterno (o involucro) ed è nella maggioranza dei casi di seta anche se nelle versioni stagionali può essere in lino o lana in tutte le sue accezioni, dal tweed al cashmere. È molto importante valutare la qualità della seta e il suo peso, nonché la sua “mano”, ossia la sensazione al tatto. Se è piacevole, allora probabilmente siete sulla buona strada.

Il secondo elemento è rappresentato dagli interni, l’anima attorno alla quale è costruita la cravatta. Tendenzialmente unica e di lana, serve per dare volume, spessore e, soprattutto, struttura. È molto importante prestare attenzione alla natura degli interni perché se non fossero all’altezza potrebbero portare facilmente una cravatta apparentemente perfetta ad un epic fail epocale. Diffidare quindi da interni troppo gonfi e spugnosi così come da interni troppo secchi ed inconsistenti: i primi (oltre a non essere di lana ma di materiali sintetici) implicano nodi grossi ed impacciati mentre un interno diametralmente opposto avrebbe l’effetto di una cravatta tristemente leggera.

Ultimo elemento, ma non per importanza, è rappresentato dai dettagli che non si vedono, ossia le cuciture. Che sia interamente fatta a mano o a macchina o un ibrido, quello che importa è la combinazione resistenza-elasticità. 

Nelle cravatte foderate la cucitura a macchina è solitamente limitata alla fodera del retro della pala e del codino, in quanto questa consente maggiore stabilità, mentre la cucitura centrale viene fatta a mano, per consentirne elasticità. Nelle cravatte sfoderate (classiche della tradizione napoletana) invece l’orlo della pala deve essere fatto a mano poiché richiede molta delicatezza nell’operazione di orlatura. La scelta è solo una questione di stile.

Attenzione al filo di frizione e al travetto. Nel primo caso parliamo di un unico filo continuo di cucitura che scorre lungo tutta la dorsale della cravatta e rimane nella sua estremità seminascosto nel retro del codino, ed ha la funzione di far riprendere alla cravatta la sua forma dopo l’uso. Il travetto invece è la cucitura orizzontale sul retro della pala e del codino. In molte realtà è un dettaglio non considerato per motivi realizzativi ed economici ma si può capire molto anche solo analizzando questo dettaglio. Quello che è importante analizzare è la distanza che c’è tra il travetto e la punta della pala: minore è questa distanza minore è la qualità della realizzazione. Più alto, infatti, viene messo il travetto maggiore è l’utilizzo di fodera interna e maggiore è la naturalezza della cravatta in caduta. 

Riepilogando, la manifattura è il deus ex machina della riuscita del prodotto, dove la sapienza e la manualità si tramandano di generazione in generazione, creando capolavori la cui realizzazione richiede fino a tre ore di lavoro.

Nota sul taglio: deve essere fatto a 45° per consentire alle fibre di mantenere elasticità e forma una volta annodata e il pattern deve essere centrato e bilanciato per evitare disallineamenti che toglierebbero armonia.

E adesso tocca a voi… buona scelta

Fabio

Dettaglio del filo di frizione
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